La scuola è finita. I bambini sono in vacanza. I corridoi sono ancora pieni delle loro voci e dei resti della festa di fine anno con le famiglie. Daniel, il bambino più vivace della scuola, ha dimenticato la sua felpa nell’atrio, quasi a memoria delle sue gesta scomposte.
È magico quel primo giorno senza i bambini: le aule vuote, i banchi che ancora ricalcano la forma della classe, i cartelloni colorati degli ultimi lavori, palestra deserta e il cortile dove si riesce addirittura a percepire il cinguettio di qualche uccellino… Ogni insegnante conosce quella sensazione di sollievo al pensiero che per tre mesi non dovrà correre dietro allo scalmanato di turno, né controllare i compiti del weekend, né dettare un tema, né preparare la lezione per il giorno successivo!
Certo, giugno è a tutti gli effetti un mese di lavoro per insegnanti e dirigenti. Attorno allo stesso tavolo, si programma il futuro anno scolastico, si contano le risorse a disposizione e si decide a quali attività dedicarsi. Ognuno ha la sua idea e la sua esperienza: c’è chi vorrebbe ripetere sempre le stesse iniziative ormai rodate, chi ha ambizioni da innovatore, chi semplicemente vuole dare contro a un collega poco simpatico, chi rimane in silenzio in segno di protesta o perché convinto che qualcun altro dall’alto prenderà le decisioni.
In quei momenti si è capaci di dare il peggio e il meglio di sé. “Questo è mio”, “questo è tuo”, “questa idea l’ho avuta prima io e non tu”: a ben voler vedere il tenore delle discussioni tra docenti non è poi molto più elevato dei piccoli litigi tra bambini.
Ogni tanto, come per caso e inspiegabilmente, accade un piccolo miracolo. Si converge intorno a un’idea e come per magia ci si trova tutti dalla stessa parte della barricata. Il collega più giovane e precario timidamente avanza una proposta. La dirigente e il suo vice per una volta non storcono il naso. Il bastian contrario del gruppo resta in ascolto. La collega di religione si rende disponibile a collaborare. Ci si accalora tutti attorno alla proposta di un laboratorio permanente di astronomia per i bambini, nel giardino della scuola. Nessuno sa più dire da chi sia venuta l’idea… è l’idea di tutti ed è pensata per quei bambini che oggi non sono qui.
Guardando quei corridoi vuoti, percependo quel silenzio inedito, si potrebbe fare un pensiero: cosa sarebbe la scuola senza i bambini? Come sarebbe la propria scuola senza quei bambini, in carne ed ossa, con le loro storie, le loro famiglie, le loro fatiche quotidiane? Quale futuro potrebbe mai esserci senza i sogni e le ambizioni dei più piccoli e meno fortunati tra loro?
Nulla avrebbe senso di quel mestiere di insegnante, oggi esautorato e svalutato, ma che nei fatti ha il potere enorme di cambiare i destini di bambini e bambine.
Nulla avrebbe senso degli anni spesi sui libri o a fare tirocini, concorsi e formazioni per rimanere aggiornati. Nulla avrebbe senso persino degli scioperi ricorrenti per richiedere il riconoscimento minimo del proprio lavoro e della propria dignità… senza i bambini.
Quel corridoio vuoto è come un pasto saltato. Si percepisce il valore di ciò che abbiamo, si percepisce il senso di ciò che viviamo.