Boston, 1987. In una sala giochi di un reparto pediatrico, due bambini si incontrano davanti a una console. Uno ha un piede ingessato, l’altra un tempo sospeso addosso. Prima ancora delle parole, a unirli è Super Mario Bros, un mondo artificiale eppure familiare nel quale non si gioca tanto per vincere, quanto per restare in partita, tentare un altro turno e avere, ancora e ancora, un’ennesima occasione.
Tomorrow, and Tomorrow, and Tomorrow, il cui titolo richiama uno dei più celebri monologhi del Macbeth di Shakespeare, è l’ultimo romanzo di Gabrielle Zevin, sorprendente per delicatezza e densità. Pur muovendosi nel mondo del game design, il libro si sviluppa su un piano più ampio e universale: è una storia di legami, creazione condivisa e identità, capace di parlare a chiunque abbia costruito qualcosa insieme a un’altra persona — un progetto, un sogno, un linguaggio.
Sadie e Sam, i protagonisti, si conoscono da bambini, si ritrovano al college e poi decidono di creare un videogioco insieme. Quello che segue tuttavia non è la cronaca di un successo, ma il racconto di cosa accade quando due vite si intrecciano attorno a un’opera comune. Mentre crescono – umanamente e professionalmente – affrontano il cambiamento di un mondo in fermento: l’ascesa dell’industria dei videogame, la ridefinizione dei ruoli di genere, la difficoltà di restare connessi quando la vita preme da ogni lato. Sam, segnato da un incidente che lo porterà a convivere con una disabilità a vita, trova nei giochi uno spazio altro in cui abitare. Sadie, brillante e ambiziosa, si muove in un settore ancora fortemente maschile, dove spesso la voce femminile resta dietro le quinte. Entrambi si rifugiano nel codice e nella narrazione interattiva per dire ciò che fuori non riescono a nominare.
Nel corso della loro collaborazione, Sadie e Sam danno vita a una serie di giochi che riflettono le loro esperienze personali e le tematiche che li toccano profondamente. Il primo, Ichigo, racconta la storia di un personaggio senza genere definito che, dopo essere stato travolto da uno tsunami, cerca la strada di casa armato solo di un secchiello e una pala. Questo gioco, apparentemente semplice, nasconde una profondità narrativa che esplora temi di identità e forza interiore.Successivamente sviluppano Solution, che mette il giocatore di fronte a scelte morali complesse e che è ispirato al controverso gioco da tavolo Train di Brenda Romero. Qui il gameplay diventa un mezzo per interrogarsi sulle proprie responsabilità e sulla complicità in sistemi oppressivi. Con Pioneers i due creatori si confrontano con la storia della colonizzazione americana, rielaborando l’esperienza di giochi come The Oregon Trail per riflettere sulle dinamiche di potere e sull’identità culturale. Infine, Mapletown offre un rifugio sereno e inclusivo, richiamando l’atmosfera di titoli come Stardew Valley e Animal Crossing. Questo gioco diventa uno spazio di cura e accettazione, soprattutto per chi affronta sfide legate alla disabilità o all’autoaccettazione.
Ma questo non è un romanzo sui videogiochi. È un romanzo sul bisogno di inventare mondi, di costruire luoghi dove poter tentare ancora, dove perdere non è la fine, ma una possibilità di ricominciare. La narrazione segue il tempo della vita dei personaggi: si muove avanti e indietro, cambia prospettiva, si adatta ai vari momenti e in alcuni passaggi si addentra persino nei giochi stessi, finzione nella finzione. Ma al centro, sempre, resta il legame: la trama profonda di un rapporto che evolve, si logora, si ricompone, senza mai essere davvero risolto.
E forse è anche per questo che Tomorrow, and Tomorrow, and Tomorrow riesce a parlare a lettori molto diversi, indipendentemente dal rapporto che hanno con il mondo del gaming. Fulcro della narrazione non è il gioco ma il tempo — quel “tomorrow, and tomorrow, and tomorrow” che in Macbeth scivola inesorabile, vuoto, senza scampo, e che qui invece si riempie di possibilità. La possibilità di riscrivere, di tentare ancora, di abitare, anche solo per pochi istanti, un’altra storia.
Bevanda consigliata: una tazza di tè nero, poco zuccherato. Classico, discreto, adatto a letture che si prendono il loro tempo.
Per chi è: per chi ha costruito qualcosa insieme a qualcuno, senza sapere esattamente che nome dargli. Per chi vive relazioni che non rientrano nelle definizioni, ma che esistono comunque.
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