Comunità Educazione Gioco

7 Luglio 2025

di Ruggero Poi

Bravi bambini

Tempo di lettura: 3 minuti

“Dai Giorgina, fai la brava bambina e restituisciglielo!”

“Cattivo, cattivo Michele, cattivo. Vedi di non farlo più!”

“Ma che bravi! Guarda che bei disegni avete fatto!”

Per strada, in piazza, a casa o a scuola, sentiamo spesso queste frasi. Sono entrate nel linguaggio comune, ereditate da quando eravamo bambini e usate spesso in modo innocente. Ma parole come “bravo” e “cattivo” non sono affatto neutre: hanno assunto nel tempo significati diversi e profondi, tanto da influenzare la didattica scolastica, la morale di una comunità, perfino la progettazione degli spazi pubblici.

Capire davvero cosa intendiamo quando diciamo “bravo” o “cattivo” può aiutarci a lavorare meglio in ambito educativo, sociale, e persino a incidere su scelte politiche e urbanistiche. E allora, da bravi… cominciamo.

La parola bravo ha subito un’evoluzione affascinante. Le sue origini risalgono al germanico brāvis, da cui deriva anche l’inglese “brave”, ovvero coraggioso. In origine, “bravo” descriveva chi affrontava l’ignoto con coraggio, chi osava, chi si fidava del proprio istinto. Solo in un secondo momento ha assunto il senso di “capace”, e infine quello di “ubbidiente”. Oggi, chi è un “bravo bambino”?

Colui che ascolta e obbedisce, che risponde alle aspettative senza porre domande. Certo, l’obbedienza è una competenza, ma rischia di diventare un limite: porta con sé il pericolo del servilismo, della passività, della rinuncia a pensare con la propria testa.

E se guardiamo al suo opposto, cattivo, scopriamo un’etimologia altrettanto interessante: “cattivo” deriva dal latino captivus, che significa “prigioniero”. Essere cattivi, in fondo, equivale a essere prigionieri: della rabbia, della solitudine, della mancanza di libertà. Il cattivo è colui che, per molte ragioni, non riesce a partecipare pienamente alla sua vita e a quella sociale. È una figura subalterna, che spesso reagisce in modo aggressivo proprio perché non trova spazio per esprimersi.

Questo contrasto tra “bravo” e “cattivo” ci offre una lente potente per riflettere sull’educazione e sui luoghi dell’apprendimento.La domanda che guida il mio lavoro da anni è questa: come possiamo costruire contesti educativi che permettano a bambini e adulti di sviluppare una forma autentica di libertà, coraggio e autonomia?

L’educazione si muove costantemente tra due poli: quello della protezione e quello dell’esplorazione. Da una parte servono ambienti sicuri, che offrano protezione e guida, soprattutto nei momenti di fragilità della vita di ciascuno.

Dall’altra, abbiamo bisogno di spazi che diano modo a bambini e adulti di essere “brave”, ovvero di rischiare, di esplorare, di sbagliare, di crescere. Oggi, molti spazi educativi e sociali – scuole, palestre, piazze, anche virtuali – si sono trasformati in ambienti iper-controllati. Ogni comportamento è monitorato, regolato, assicurato. Si vuole proteggere, certo, ma a volte si finisce per soffocare.

Senza la possibilità di sperimentare il rischio, perdiamo l’occasione di imparare a gestirlo. E allora i rischi si amplificano, diventano imprevedibili, a volte pericolosi. Ritrovare la dimensione “brave” vuol dire riprogettare le strade, le piazze, i cortili, le scuole. Vuol dire rinnovare quei luoghi dove un tempo si imparava giocando, incontrandosi, confrontandosi.

Oggi, questi spazi si sono svuotati. E questa trasformazione ha un costo enorme. Senza luoghi di socialità spontanea, diventiamo più soli, più frustrati. E la frustrazione genera aggressività, rabbia, “cattiveria”. Che a sua volta giustifica più controllo, più sorveglianza, più recinti.

La sfida del futuro sta allora nell’equilibrio: riscoprire il valore positivo della cattività come spazio temporaneo di cura e relazione, e allo stesso tempo creare nuovi spazi di libertà dove le persone possano esprimersi, agire, sbagliare e imparare.

Un esempio?

-Ripensare i momenti di ingresso e uscita da scuola perché possano essere lasciati all’autonomia di gruppi di bambini e bambini.

-Incentivare gli spazi educativi non strutturati all’aperto, dove i bambini possano affrontare sfide fisiche e relazionali reali.

-Dare visibilità a quei “terzi luoghi” – spazi ibridi sul confine tra casa, scuola e lavoro– che aprono a nuove forme di socialità, come: piazze studio, coworking scolastici, laboratori di incontro tra scuola e lavoro.Essere “bravi”, oggi, non corrisponde più solo al mettersi in fila o dire sempre di sì.

Essere “bravi” vuol dire avere il coraggio di esplorare, di scegliere, vuol dire sbagliare e riprovare, ma soprattutto farlo insieme ad altri, in relazione e con fiducia. Solo così potremo educarci in modo autentico a desiderare la complessità di un mondo più libero, empatico e umano.

Suggerimento di spuntino: Un mix di cereali croccanti, pezzetti di frutta disidratata e scaglie di cioccolato fondente, raccolti in una bustina da viaggio. Si mangia camminando, lasciando cadere ogni tanto qualche briciola sul sentiero. Bravo spuntino nutre la concentrazione e la memoria è ideale per chi ha perso l’orientamento… o vuole cambiarlo.

Scritto da
Ruggero Poi