Creatività Gioco

5 Settembre 2025

di Matteo Boca

Giocare insieme, non giocare contro

Tempo di lettura: 3 minuti

Molti di noi sono cresciuti con l’idea che il gioco serva a vincere. Che alla fine ci debba essere un punteggio, una classifica, un primo posto. Magari anche solo per dire: “la prossima volta mi rifaccio”. Ma cosa succede quando al tavolo si siede un gruppo di persone e nessuno può vincere da solo? Quando l’obiettivo non è battere gli altri, ma fare qualcosa insieme?
Succede che giocare diventa cooperare, costruire, fidarsi, narrare.

Chi è avvezzo ai giochi da tavolo lo sa: ci sono titoli pensati per collaborare al fine di salvare il mondo, risolvere un mistero, sopravvivere insieme. E poi c’è un’altra forma di gioco, forse meno conosciuta ma ancora più radicale in questo senso: il gioco di ruolo.

Cos’è un gioco di ruolo? Prima di rispondere, direi che è il momento di prendere un piatto di hummus e vari crostini da dividere con gli amici attorno al tavolo. Un gioco di ruolo, mi piace descriverlo come un’attività in cui ognuno interpreta un personaggio e, insieme agli altri, contribuisce a creare una storia. Si descrivono azioni, si parla in prima persona (se te la senti, altrimenti la terza persona va benissimo), si improvvisa, si prendono decisioni. Spesso c’è un narratore (o “master”) che propone il contesto e le sfide, ma non decide come andrà a finire. Nessuno sa come andrà a finire: il master può mettere insieme una traccia, ma se i giocatori concordano insieme di non andare a salvare la principessa, ma farsi una bevuta in taverna… così sarà! Non c’è una vittoria da ottenere. C’è una narrazione condivisa da vivere. Figuratevi che esistono persino giochi di ruolo dove il master non esiste, oppure che ruota tra i giocatori ad ogni scena!

Torniamo al concetto di cooperazione vs competizione. In un gioco competitivo, la tensione cresce quando gli altri si avvicinano alla meta. Nel gioco cooperativo, accade il contrario: il successo di uno è la condizione perché la storia vada avanti per tutti.
Vincere da soli non è possibile, ma addirittura, se lo fosse, non avrebbe senso, se il resto del gruppo è rimasto indietro. Arrivare in vetta alla montagna sudati e ansimanti non rende il panorama più emozionante, anzi, ci si troverà spaesati quando gli altri si raccontano le scene più assurde dell’ascesa, e tu non eri lì. La meta in quel caso è il pretesto, non il fine.

E allora dobbiamo cambiare anche il modo di stare insieme. Si ascolta di più. Si osserva meglio. Si aspettano i tempi degli altri. Si accettano le debolezze dei personaggi (e forse anche delle persone) perché fanno parte del quadro. Si impara che non bisogna brillare per forza, o meglio: è necessario che tutti abbiano il loro momento con l’occhio di bue puntato addosso. Deve brillare la storia. Per tutti.

C’è un piacere raro nel trovare soluzioni collettive. Nel sentire che si è costruito qualcosa che nessuno avrebbe potuto fare da solo. Nel sapere che quella scena, quel momento, quel finale è nato perché c’eravamo tutti.
E no, non significa che tutto scorra liscio.
Anzi, i giochi di ruolo sono pieni di conflitti interni, dilemmi morali, fallimenti improvvisi. È la caduta che rende interessante rialzarsi, tanto che spesso c’è una sottile “speranza” che il piano fallisca, così da doverci riprovare ancora. Francesco Lancia cita sovente quanto siano più memorabili i fallimenti dei successi, vedi, tra le mega navi, il Titanic e la Concordia.

Quindi, cosa succederebbe se, mentre qualcuno fa passare l’hummus in cui intingere i crostini, il piatto sfuggisse di mano? Sarebbe un disastro? O qualcosa da raccontare che abbiamo vissuto insieme? Magari le operazioni di pulizia potrebbero essere le più memorabili di sempre!

In un tempo in cui il mondo ci spinge a distinguerci, a primeggiare, a vincere anche a scapito degli altri, il gioco cooperativo (e quello di ruolo in particolare) ci ricorda qualcosa di rivoluzionario: che essere parte conta più di essere primi.
E che c’è una forma di soddisfazione profonda che non viene dal dire “ho vinto”, ma dal dire “ce l’abbiamo fatta”.

È difficile allenarsi a questo nella vita quotidiana, è difficile allenarsi “a perdere”: ne ho già parlato in un precedente Spuntino (lo puoi rileggere qui). Ma almeno al tavolo di un gioco, c’è uno spazio protetto in cui farlo. Un luogo dove potremmo decidere che il noi vale più dell’io e dove in maniera tangibile il viaggio vale più della meta. E dove puoi chiedere senza vergogna un crostino in più da pucciare, perché tu li hai fatti cadere per errore.

Spuntino consigliato: un piatto di hummus e vari crostini da dividere con gli amici attorno al tavolo.

Scritto da
Matteo Boca