Creatività Gioco

7 Luglio 2025

di Matteo Boca

Il gioco, una cosa seria

Tempo di lettura: 3 minuti

“C’è una famosa vignetta di due giocatori di scacchi così profondamente immersi nella loro partita da non accorgersi di una guerra che si svolge attorno a loro. Ciò che più mi piace di questa vignetta è che è solo leggermente esagerata.” Alex Randolph (Homo Ordinator)

Tutti, scacchisti o meno, riusciamo a capire benissimo questa sensazione, questo senso di concentrazione che ci avvolge in una nebbia dalla quale usciamo solamente a partita finita. Ma è una sensazione che vedo più radicata, azzardo che la sappiamo riconoscere sin da bambini. Il bambino (o bambina) è lì, in ginocchio sul tappeto o curvo su un tavolo, assorto in una battaglia tra dinosauri, un mercato con la plastilina, un castello di carte che non vuole stare in piedi. La lingua tra i denti (ok, questa forse non è per tutti, ma io ho ancora la lingua tra i denti), gli occhi fissi. Non risponde quando lo chiami. Non sente. Non c’è.

Chi guarda da fuori pensa che stia “giocando per finta”. Ma chi gioca, davvero, non finge affatto. Anzi: fa sul serio. È immerso in un mondo che ha regole proprie, creato con precisione e abitato con impegno. La casa costruita con i cuscini è una tana, una base segreta, una navicella spaziale: non è una metafora, è un dato. Quel mondo non è una copia della realtà: è un’altra realtà, costruita con altre logiche.

Ora che siamo tutti chiusi insieme in quel morbido fortino, azzardo un passo in più: cosa succederebbe se qualcuno provasse ad abbattere anche solo una delle pareti di cuscino? Avete mai provato a “barare” a nascondino piazzandovi vicino a chi conta e toccare direttamente la tana?

Sicuramente, almeno un “Ehy! Non vale!” starebbe riecheggiando, e un po’ di rabbia non sarebbe così fuori luogo. Il punto a cui voglio arrivare è che: nonostante non ci siano reali regole scritte, nonostante i bimbi non siano soggetti a strutture legislative, sanno benissimo cosa si possa e non si possa fare nel contratto del gioco. Il gioco, sin dalla più tenera età, è un concetto serio.

Ed è qua il principio contro il quale mi trovo spesso a lottare quando chiedo di portare il gioco nelle organizzazioni. Nella testa di chi deve approvare la formazione, gioco è contrario al concetto stesso di lavoro: “Noi abbiamo bisogno di una formazione seria” mi sento rispondere. Nonostante gli esempi di serietà nel giocare da cui possiamo attingere (e l’abbiamo appena fatto!), ancora pensiamo che il contrario di gioco sia “ciò che è serio”? Il contrario di gioco è “ciò che è reale”; e credo, che in un luogo di lavoro, sia importante imparare qualcosa e, soprattutto, verificare l’apprendimento sperimentandolo in un ambito non reale.

Per fare un esempio concreto al volo: per imparare a riorganizzare una catena di montaggio, faccio ritagliare con forbici a punta arrotondata delle piccole tortine, da colorare, infornare e infine servire a dei fantomatici clienti, finchè non si raggiunge un punteggio ottimo. Comodissimo sperimentare varie soluzioni a livello di personale e attrezzature diverse, senza il pericolo che il bilancio trimestrale sia un disastro!

Il bambino che gioca è, forse, il miglior esempio di concentrazione felice che abbiamo. E se oggi la parola “serietà” è spesso associata alla fatica, alla rigidità, al dovere, basterebbe guardare un bambino che gioca per rimetterla a fuoco. Nel gioco si prova, si fallisce, si ricomincia. Nessuno gioca per dovere. Eppure, nel gioco, ci si impegna con più costanza che nei compiti, che nel lavoro. Perché giocando vogliamo riuscire. Vogliamo che la torre non crolli, che il castello venga bene, che la principessa (o il principe) si salvi. C’è un desiderio, una motivazione profonda, che nasce non da un obbligo ma da un’intuizione interiore: questo conta per me.

Ed è qui che il bambino ci insegna qualcosa che gli adulti spesso dimenticano: la serietà del gioco non è nel risultato, ma nel processo. Non importa se la torta di fango è venuta storta, se il disegno è incompleto, se l’incantesimo del mago non ha funzionato: l’importante è aver giocato. Il gioco, a differenza del lavoro, può finire nel nulla. Ma quel nulla è stato tutto, per qualche minuto.

Mi viene da pensare che essere seri, forse, vuol dire proprio questo: fare qualcosa con tutto il proprio essere, perché lo si sente importante. Anche, e soprattutto, se non serve a nulla!

Spuntino consigliato: qualche biscottino, quelli famosi che si mettono nel biberon, che sono assolutamente per i piccoli, che “nessun grande” si sognerebbe di mangiare, ma che… alla fine, uno tira l’altro!

Scritto da
Matteo Boca