
Napoli, 1946. Poiché la madre aderisce all’iniziativa dei treni della felicità, Amerigo Speranza, un bambino di sette anni, lascia casa propria e la città per il Nord Italia, dove sarà ospitato da una famiglia nella campagna emiliana.
C’è un treno che corre lungo un’Italia ancora ferita dalla guerra, un convoglio
notturno carico di piccoli passeggeri che guardano dal finestrino senza sapere se
lasciare spazio all’eccitazione per l’ignoto o cedere alla paura di un distacco
definitivo. Sono i cosiddetti treni della felicità, organizzati nel dopoguerra dall’Unione Donne Italiane e dal Partito Comunista per affidare temporaneamente i figli delle famiglie più povere del Meridione a nuclei ospitanti del Nord. Un esperimento di solidarietà che mescolava mondi lontanissimi e che, pur nato dalla miseria, generava legami nuovi, capaci di trasformare la differenza in risorsa.
Su uno di quei treni sale Amerigo, sette anni appena, un bambino vivace che porta nel cognome — Speranza — la promessa di un futuro diverso. Cresciuto nei vicoli stretti e umidi di Napoli, con una madre dura ma affezionata, viene accolto in una famiglia emiliana che rappresenta per lui quasi un miraggio: abitudini nuove, case solide, tavole imbandite, un modo diverso di concepire l’infanzia e la cura. È uno strappo che brucia e consola insieme, l’inizio di una metamorfosi che lascerà un segno profondo.
Pubblicato nel 2019, Il treno dei bambini di Viola Ardone racconta questa vicenda
collettiva attraverso la voce individuale di Amerigo. La lingua è elementare, incrinata dalle inflessioni dialettali, eppure densa di ritmo e autenticità: ci fa sentire la fame, la rabbia, la curiosità, tutto il groviglio di emozioni che accompagna la crescita. È la lingua di un’infanzia che impara presto a farsi adulta, ma che conserva, nonostante tutto, la forza dello stupore.
Il cammino di Amerigo è un apprendistato alla perdita e insieme alla speranza. Non appartiene più del tutto né al Sud che ha lasciato né al Nord che lo ha accolto: vive la sua adolescenza sospeso tra nostalgia e desiderio di futuro, costretto a riconoscere che la memoria è al tempo stesso ferita e casa. Eppure, dentro quella lacerazione si apre una possibilità inattesa: un violino, ricevuto quasi per caso, diventa il simbolo di un riscatto possibile. La musica è talento che sboccia e si fa risorsa, linguaggio universale capace di restituirgli una voce, di tradurre in armonia il dolore di chi credeva di avere davanti a sé solo silenzi. Anni dopo, da adulto, Amerigo tornerà a Napoli e troverà proprio nel violino — custodito e riscattato da sua madre — il filo che gli consente di riconciliarsi con le proprie radici, di perdonare e di essere perdonato.
Viola Ardone intreccia così storia e intimità, restituendo una pagina autentica del
dopoguerra italiano: la fame, la divisione tra Nord e Sud, il peso della miseria, ma anche la forza dell’accoglienza e la capacità di trasformare l’estraneità in legame. Il treno dei bambini è insieme romanzo storico e romanzo di formazione, una riflessione delicata e potente su ciò che significa crescere, diventare adulti, scoprire che la fragilità e la perseveranza non si escludono ma si tengono strette, e che spesso è proprio nella differenza che si nasconde la possibilità di rinascere.
Bevanda consigliata: una camomilla addolcita con un cucchiaino di miele, capace di scaldare come le note di un violino nelle notti più solitarie.

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