A scuola si misura tutto: frequenza, risultati degli apprendimenti, benessere degli studenti, precarietà e stabilità del corpo docenti. Si misurano addirittura le voci di insegnanti e alunni, come ha fatto qualche anno fa l’Ocse (2020) con un’imponente indagine dedicata al tempo di parola in classe. Ma nessuno – per ora! – ha mai misurato il tempo della risata in classe. Non dico quella sottobanco, tra compagni, ma quella che coinvolge anche il docente, portando tutti verso una fragorosa e democratica risata collettiva.
Non abbiamo certo bisogno che ce lo dica l’Ocse: a scuola si ride poco. Il timore di perdere il controllo della classe e di apparire poco professionali, l’idea che “una brava maestra non ride mai” trasmessa da una generazione di insegnanti a un’altra, rendono questa esperienza del tutto marginale. E il tema è molto serio! Umorismo e ironia sono indicatori fondamentali del livello di benessere di una classe di scuola. Ce lo ricorda Bell Hooks, studiosa dell’aula come spazio di trasformazione sociale: ironizzare, lasciarsi prendere in giro, usare financo lo scherzo come strumento di apprendimento, rappresentano momenti fondamentali per creare un senso di comunità in classe e aprire spazi densi di concentrazione e apprendimento.
Gli insegnanti si prendono talmente sul serio da non ridere (quasi) mai coi propri studenti. E noi docenti universitari non facciamo certo eccezione. C’è da augurarsi che l’Anvur (agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca), non ci chieda di produrre documentazione (anche) sul tempo di risata in aula. Molti di noi sarebbero senza dubbio spacciati.
Ogni anno, all’avvio del mio corso universitario di Pedagogia della relazione educativa (nome che invita al pisolino più che alla risata!) cerco di evitare un tono troppo accademico. Ma lo scorso anno ho voluto alzare il livello del gioco: entro in aula serissima, dichiaro che la lezione durerà tre ore senza pause, vieto i cellulari e invito gli studenti a consegnarmeli. Manca poco perché appoggi i miei occhiali sul naso. Li vedo impallidire. Una si alza. L’altro guarda le ultime notifiche e si congeda dal suo dispositivo. I telefoni si accumulano sulla cattedra.
Poi guardo studenti e studentesse negli occhi e dico: “era uno scherzo!”. Risate, sospiri, sconcerto. E da lì parte una delle lezioni più vive e partecipate del corso. Il tema della lezione del giorno è la relazione educativa con gli adolescenti: davvero proibire i cellulari è il modo migliore per entrare in sintonia con loro? Mentre illustro le teorie dei tecnoentusiasti e dei tecnofobici, l’argomento ha il sapore di qualcosa di reale e vissuto.
E voi – in una scala da uno a dieci – quanto ridete in classe coi vostri studenti?
Suggerimento di spuntino: suggerisco uno snack piccante e un bicchiere di acqua fortemente gasata. Fa lacrimare, pizzica la lingua, ma aiuta a digerire. Proprio come una bella risata in mezzo alla lezione di grammatica!
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